Caci figurati siciliani

I caci figurati siciliani sono una specialità inimitabile del panorama caseario siciliano, per cui meritano di essere annoverate tra le eccellenze enogastronomiche.

Abbiamo spesso parlato di ricette e prodotti culinari della Sicilia che si distinguono per determinate procedure uniche, tramandate di generazione in generazione.

Ma nessuna di queste agisce in modo così profondo anche sull’aspetto esteriore del cibo, se non nel caso degli Ainuzzi di Cammarata e San Giovanni Gemini, di cui abbiamo già parlato ampiamente.

Simili al particolare formaggio cammaratese, i caci figurati siciliani sono invece tipici della vicina Contessa Entellina, adagiata tra gli stessi Monti Sicani del massiccio Cammarata e la Valle del Belice, ma la loro produzione si estende fino ai Nebrodi.

Si tratta, come per gli Ainuzzi, di formaggi a pasta filata, riconoscibili perché modellati a regola d’arte a forma di cervi, cavalli, daini e galline.

Realizzati con latte vaccino, sono caratterizzati da una crosta gialla paglierina e da un interno dolce e morbido.

Produzione del formaggio

I caci figurati siciliani sono realizzati, come detto, con latte di bovini.

È questa infatti la distinzione principale tra gli infiniti tipi di formaggio, sebbene si possano distinguere anche in base a stagionatura, tecniche di produzione, presenza o meno di crosta e via dicendo.

In base al tipo di latte, si parla di formaggi vaccini, bufalini, pecorini, caprini o misti.

In ogni caso il processo di produzione è pressoché riassumibile in questo modo.

Il latte, versato in una caldaia, si riscalda fino all’incirca ai 35 °C, dopodiché si inoculano possibili fermenti (naturali o artificiali) e successivamente il caglio, un insieme di enzimi ottenuti dagli stomaci di diversi animali, che serve a far coagulare il grasso del latte.

Grazie a questo processo si ottiene la cagliata, base di partenza del formaggio: la cagliata può essere tagliata grossolanamente, oppure finemente e poi fatta stagionare, a seconda del singolo tipo di formaggio.

La nascita in Mesopotamia

A proposito di formaggio, il termine deriva dal latino: i soldati mangiavano delle forme di cagliata, dei formaticum.

Con questo termine si indicava la singola forma del caseus, ovvero il prodotto caseario, da cui deriva ad esempio lo spagnolo queso ma anche il siciliano caciu.

La storia del formaggio non parte comunque dall’Italia ma dalla remota Mesopotamia, dove la sua produzione è attestata dal cosiddetto Fregio della Latteria, databile al III millennio a.C. e raffigurante dei sacerdoti intenti a produrre formaggio.

In realtà, la nascita della cagliata è da anticipare di qualche millennio, in quanto l’allevamento ovino in Mesopotamia ha una storia lunga 10 mila anni.

Fu probabilmente uno di questi allevatori a trovare del latte cagliato all’interno dello stomaco di un capretto, e da qui inizia la storia di questo prodotto.

L’evoluzione italica

Il formaggio arriva poi in Palestina, Egitto e Grecia, dove si lega anche ai miti olimpici. 

In Italia la produzione casearia è databile ad almeno 5 mila anni fa, in quanto in un insediamento neolitico nei pressi di Cremona sono stati ritrovati strumenti per la produzione della cagliata.

Conosciuto anche da Celti e Liguri, che elaborano la cagliata di base arrivando a creare millenni fa prodotti ancora oggi di successo come la robiola e lo stracchino, il formaggio conosce un grande sviluppo grazie agli Etruschi.

Sono loro ad aggiungere nuovi coagulanti naturali come il latte di fico. Saranno però i Romani a spingersi ancora oltre, utilizzando non più soltanto latte ovino ma anche latte di altri animali – e questo è testimoniato dalla differenziazione fatta da Marco Terenzio Varrone.

Realizzato dagli abati, arrivò nel corso dei secoli nelle tavole delle più importanti famiglie nobili (di questa parte ne parliamo più a lungo nell’articolo sugli Ainuzzi).

Col tempo, poi, ogni regione – ma il cerchio si può restringere a volte ai singoli paesi – sviluppa la sua ricetta particolare, la sua forma unica, il suo inimitabile metodo di produzione.

La storia dei caci figurati

Questo è ad esempio il caso della Vasteḍḍa del Belice, o degli Ainuzzi di Cammarata.

Simili a questi ultimi sono i caci figurati siciliani, che però, a differenza del formaggio agrigentino, non si legano ad una particolare festività, ma sono piuttosto da vedere come doni dall’evidente valore artistico, utilizzabili in diverse occasioni.

Questi capolavori culinari fanno la loro prima apparizione nel 1982, quando apparvero sui banchi della Mostra etnografica siciliana, conquistando gli occhi e i palati dei palermitani e di tutti i presenti.

I caci figurati siciliani sono anche citati nel libro dello storico Antonino Uccello “Bovari, pecorari e curatuli” del 1980, che parla anche della famosa Provola dei Nebrodi.

La Provola dei Nebrodi

È il caso di fare una piccola digressione su questa specialità, che differisce dai caci figurati siciliani solo per la forma finale.

Nata sulle alture e sui pendii scoscesi dei Monti Nebrodi, questo formaggio ha una storia antica, che risale ormai al 1400.

Da diversi secoli, i casari della provincia di Messina seguono lo stesso metodo di produzione, che parte dal latte vaccino a cui si aggiunge caglio d’agnello o capretto. 

Ma l’unicità della provola dei Nebrodi è la sua stagionatura (caso unico per questo tipo di formaggio), che produce un formaggio saporito ma al tempo stesso morbidissimo.

Produzione dei caci figurati siciliani

La tecnica della Provola dei Nebrodi si è estesa oltre i Nebrodi, arrivando fino alle rive del Belice, nel comune palermitano di Contessa Entellina.

Sia qui sia sui Nebrodi, il processo è lo stesso anche per i caci figurati siciliani: il latte vaccino, di due munte consecutive, si scalda fino ai 36 °C e viene successivamente aggiunto caglio di capretto o agnello.

Si produce così la cagliata, rotta con un bastone detto rotula. Separata dal siero (con cui si produce la ricotta), la cagliata ulteriormente scaldata, per poi essere lasciata a riposare coperta da un panno per almeno un giorno.

A questo punto, a differenza della provola, la pasta filata viene modellata dall’esperto casaro secondo forme diverse, dai cervi ai daini, dai cavalli alle galline, poi messe in salamoia per la salatura e successivamente asciugate e lasciate nuovamente a riposo.

Caratteristiche dei caci figurati siciliani

Il prodotto finale, oltre a distinguersi per il suo valore estetico pressoché unico, è caratterizzato da una crosta gialla paglierino, una tonalità che si ripresenta anche nella bianca pasta interna, che è morbida ma al tempo stesso compatta.

Utilizzati come regali unici e inimitabili, colpiscono non solo per la loro bellezza artistica ma anche per la dolcezza e la delicatezza della pasta, che quasi si scioglie in bocca.

Questo prodotto caseario unico è figlio di una tradizione antichissima, coltivata nei secoli dai casari dei Nebrodi, e per questo è stato inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (o P.A.T.).

Curiosità

Nell’Antica Grecia il formaggio era un alimento molto gradito dagli atleti delle Olimpiadi, anche grazie alla sua nascita mitica attribuita ad Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, che insegnò agli uomini l’arte della pastorizia.

I Medici servivano formaggio ai loro banchetti, così come gli Estensi che presentavano ai commensali bocconi di Parmigiano.

Tipica della Liguria è invece la robiola, di origini antichissime. Il suo nome è dovuto al rosso della sua crosta, dal latino rubeola. In Sardegna esiste invece il callu de cabrettu, realizzato secondo la tradizione nello stomaco di un capretto.

Il formaggio è anche protagonista di alcuni proverbi.

Pane fresco, vino vecchio, moglie giovane e formaggio stagionato.

Il formaggio è cibo sano se ne mangi poco e piano.

La bocca non è stracca [stanca] se non sa di vacca [di formaggio].

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