Pesca di Bivona IGP

La Sicilia, per via del suo clima e del suo paesaggio in cui si alternano monti e valli, è il terreno ideale per la crescita di dolcissimi e saporitissimi frutti, dagli agrumi ai fichi d’India, dalle ciliegie alle pesche. 

Proprio queste ultime possono vantare alcune specialità uniche in tutto il Paese, che per questo hanno ottenuto marchi di qualità e che entrano a pieno merito nella lunga lista delle eccellenze enogastronomiche.

Abbiamo già parlato ampiamente della pesca tardiva di Leonforte, caratteristica perché, ancora un piccolo nocciolo, si avvolge nella carta pergamena. 

Questa volta ci spostiamo di circa 80 km in linea d’aria da Leonforte, approdando sui Monti Sicani, a poca distanza dal suggestivo Monte Cammarata.

Per la precisione, ci troviamo a Bivona, definita la “Città delle Pesche”.

Questo titolo – oltre a quello di primo ducato del regno di Sicilia – è dovuto ad un’eccellenza autoctona, la pesca di Bivona, detta anche montagnola proprio perché nasce in mezzo ai ripidi Monti Sicani.

Si tratta di un frutto dalla buccia gialla con piccole striature rosse, e da una polpa bianca, dolce e delicata, che nel 2014 ha ottenuto il marchio IGP.

L’albero di pesco

Quella di Bivona è una particolare varietà di pesca (in realtà se ne coltivano quattro ecotipi diversi), ovvero il frutto del Prunus persica.

Appartenente alla famiglia delle Rosacee – in cui rientrano fiori come la rosa e il biancospino ma anche alberi da frutto come il melo, il mandorlo e il nespolo – è un albero che può raggiungere anche gli 8 metri d’altezza.

Presenta delle foglie allungate e in primavera la chioma diventa una particolare tela verde su cui la natura dipinge dei fiori dal delicato colore rosa, che però verso l’interno dei petali lasciano il posto ad altre sfumature, che altro non sono che la futura tonalità della polpa del frutto: se il rosa lascia il posto al bianco, si avranno di conseguenza pesche a polpa bianca, se invece è l’arancione a prendere il sopravvento, ci aspetteranno frutti dalla polpa gialla. 

A proposito di frutti, nel caso del Prunus Persica si parla scientificamente di drupe, ovvero dei frutti che presentano all’interno un solo, grosso seme (detto anche nocciolo): sono drupe le albicocche, le ciliegie, le prugne, ma anche le olive.

Se questo nocciolo è ben aderente alla polpa, si parla di percoche; se invece è visibilmente staccato, si parla di spiccagnole

Del pesco si utilizzano non solo i frutti, ma anche le foglie.

Queste ultime, come la corteccia e i semi, contengono dei cianuri, che in quantità minime non sono letali ma anzi si usano per aromatizzare liquori che acquisiranno un sapore amarognolo.

Dalla Cina alla Persia

La nascita del pesco si perde ormai nel mito.

In particolare, un racconto popolare dell’Estremo Oriente racconta di come un pescatore avesse trovato all’interno di un grosso pesce un nocciolo, che decise di piantare: dopo pochi giorni ne sorse un maestoso albero dai frutti dolci e delicati, che presero il nome di pesche.

Questa nascita mitica si deve anche alla lunga storia del pesco, presente sulla Terra ben prima della comparsa dell’uomo.

Ne sono testimonianza dei ritrovamenti di noccioli di pesche di due milioni di anni fa, proprio in Cina.

Da qui, il pesco raggiunge poi la Persia, dove prende il nome di “persico”, ancora oggi utilizzato in molte lingue meridionali come anche in siciliano.

Questo dolcissimo frutto arriva sulle tavole dei Romani nell’ultimo secolo di vita della Repubblica, ma le popolazioni del Mediterraneo conoscevano già la sua prelibatezza grazie ad Alessandro Magno.

Come racconta lo storico romano Rutilio Tauro Emiliano Palladio, il conquistatore macedone si innamorò della pesca, assaggiata nel giardino di Dario III in Persia, e decise di trapiantarla in Europa.

Storia della Pesca di Bivona IGP

Nel corso dei secoli, la pesca ha continuato ad essere coltivata in tutto il mondo, ma l’Italia può vantare la seconda posizione nella classifica dei produttori globali, grazie anche ad un’estesa lista di varietà ed ecotipi, tra cui appunto la pesca di Bivona IGP.

In realtà, quella di Bivona non è una coltivazione storica, anzi ha appena settant’anni.

Siamo negli anni Cinquanta, e nell’area di San Matteo, una contrada appena fuori Bivona, vengono piantati i primi alberi.

Da lì, il successo della pesca di Bivona sarà inarrestabile, arrivando a coltivare più di mille ettari non solo nel comune di Bivona ma anche nei paesi circostanti: Palazzo Adriano (in provincia di Palermo), San Biagio Platani, Alessandria della Rocca e Santo Stefano Quisquina.

I motivi del successo

Questo successo improvviso della pesca di Bivona è sicuramente dovuto alla conformazione del territorio dei Monti Sicani.

Abitati in antichità dalla popolazione da cui prendono il nome, questi monti presentano un terreno calcareo, che nelle basse vallate lascia il posto ad un terreno più argilloso.

A questo si unisce il clima unico dei Monti Sicani, che per via dell’altitudine vengono avvolte spessi dalla nebbia e dalle elevate precipitazioni.

Tuttavia, una grande spinta alla produzione della montagnola la si deve all’opera dell’uomo, che tramite la costruzione della diga Castello, nei pressi di Bivona, interrompe il corso del fiume Magazzolo per rifornire il territorio di ossigeno vitale per i frutteti.

La raccolta della pesca di Bivona IGP

Le varietà coltivate a Bivona (e in tutto il comprensorio) sono la murtiḍḍara (o primizia), l’agostina, la bianca e la settembrina, che si differenziano per il periodo di maturazione: quest’ultimo si estende da giugno (per la murtiḍḍara) fino a ottobre inoltrato (nel caso della settembrina).

Pertanto, in base ai vari stadi di maturazione delle 4 varietà, gli esperti contadini procedono alla raccolta del frutto, che deve avvenire manualmente, torcendo con delicatezza la pesca dal peduncolo.

Successivamente, il frutto viene abbattuto e conservato in celle frigorifere fino alla messa in commercio, dove la montagnola è riconoscibile dal marchio di Indicazione Geografica Protetta, ottenuto nel 2014 per tutelare l’unicità e la prelibatezza della pesca di Bivona dalle imitazioni.

Sapore e usi della pesca di Bivona IGP

Quello che arriva sulle nostre tavole è un frutto dalla buccia gialla (molto chiara, quasi bianca) ma che tende al verde, e che presenta delle delicate strisce rosse, che nel caso della settembrina si riducono ad una timida venatura. 

La polpa, invece, è bianca e consistente, ma il suo sapore è dolce e delicato.

Per tale motivo, la pesca di Bivona IGP è perfetta da mangiare da sola, anche grazie alla sua freschezza.

È anche protagonista ideale di macedonie, gelati e confetture, grazie alla sua bassa acidità.

Per omaggiare questa eccellenza, il comune di Bivona organizza ogni estate la Sagra della Pescabivona, dove il frutto, attore principale in diverse forme, è accompagnato sulla scena da musica e folklore.

Curiosità

Il pesco appare per la prima volta in Cina, oggi principale esportatore del frutto. Proprio in Cina, l’albero è simbolo di immortalità.

Nell’Antico Egitto, invece, era associato al dio Arpocrate, divinità del silenzio e dell’infanzia.

Ancora oggi, infatti, le guance dei neonati e dei bambini vengono associate alla pesca per via della tonalità e soprattutto della loro morbidezza.

Della pesca si è sempre fatto un grande uso, anche in tempi di carestie e siccità: proprio per sopperire alla mancanza di frutta secca, nel XX secolo è nata l’idea della pesca sciroppata.

La pesca è protagonista anche di alcuni proverbi

Al fico l’acqua e alla pesca il vino.

Chi mangia le pesche dure non mangia le mature.

La pesca va mangiata dall’albero spiccata.

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